Nella mia professione ho incrociato la strada con la vita di tanti ragazzi
e tante ragazze. Alcune sono storie fin troppo note (come il piccolo
Samuele Lorenzi a Cogne; “Maria”, la bimba bielorussa contesa dai
“genitori” di Arenzano; Erika Ansermin, la giovane valdostana scomparsa 7
anni fa e la cui storia si collega in qualche modo a quella di Elisa Claps,
la ragazza il cui cadavere è stato recentemente trovato nel sottotetto di
una chiesa a Potenza), altre non lo sono per niente (come il povero
Paolo, ucciso di ‘ndrangheta a 13 anni; o come il povero Angelo, 11 anni
stroncati da un ordigno scoppiatogli in mano; o come il bimbo che mai saprà di
essere stato oggetto di un tentativo di sequestro).
Ma ce n’è una che mi sta particolarmente a cuore….
L’Anna dimenticata
Io
conoscevo già la Sicilia, mio padre era siciliano. Ma la Sicilia che
conoscevo io è quella bruciata tra le province di Caltanissetta, Palermo ed
Enna. La Sicilia rappresentata dal mulo e dal marranzano, dalle colline
rinsecchite macchiate ogni tanto da ulivi. Era la Sicilia senza mare, senza
strade e senza treni. Era la Sicilia più bella che io abbia mai visto.
Ma nel
1993, alla fine del 1993 la Sicilia dove avrei lavorato per tre anni mi si
presentava come un enorme promontorio circondato da un mare di un blu
profondo, come la testa di un coccodrillo che emerge dalle acque con le
fauci rivolte verso uno dei più bei paradisi del mondo, le perle del
Mediterraneo: le isole Eolie. Milazzo mi sembrava che dormisse, ma ai
coccodrilli che dormono non bisogna comunque mai dare confidenza.
Mi
lazzo. Prima di arrivarci la conoscevo solo perché c’entrava qualcosa con le
guerre puniche e Garibaldi. Poi, nonostante tutto e nonostante tanti, me ne
sono innamorato. Perché è bella; perché è in Sicilia; perché la Sicilia è
cultura; perché i pochissimi amici che mi sono fatto sono rimasti per me
come fratelli; perché ha il mare più bello che abbia mai visto; perché per
me è il mal d’Africa che mi ha preso. Perché, nonostante tutto, non mi ha
sporcato.
Già,
Milazzo. Una cittadina dove niente sembrava succedere ma tutto succedeva.
Una cittadina sulla quale nessun pentito fino ad allora aveva mai parlato.
Lì avrei incontrato Luigi Sparacio (il boss di Messina) e suo cognato
Santino Timpani; lì avrei sentito parlare di Peppe Alfano e avrei visto la
cattura di Peppe Gullotti, “l’Avvocaticchio”, condannato per quell’omicidio;
avrei lavorato con magistrati come Giorgianni, Canali e Lembo, come
l’allora Procuratore Capo di Barcellona Rocco Sisci; ma anche con magistrati
che alle parole anteponevano i fatti, che lavoravano in silenzio e nel
silenzio; avrei voluto combattere la mafia, ma troppo spesso sono stato
costretto a drizzare le antenne: senza che te ne accorgi “cosa nostra” ti è
alle spalle quando pensi di averla di fronte.
Lì ho
conosciuto personaggi che avrei rivisto 10 anni dopo, arrestati
ingiustamente da magistrati di Catanzaro, da paladini di una giustizia che
più ingiusta non poteva, non può, essere.
E lì,
a Milazzo, ho sentito parlare per la prima volta di Anna.
Non
ricordo esattamente la data, ma quel giorno tra il 1994 ed il 1995 lo
ricordo bene. Un insegnante di una scuola di Milazzo chiese di potermi
parlare nel mio ufficio. Allora, se non ricordo male, eravamo un po’
incasinati tra la “Mare Nostrum”, gli arresti dell’AIAS, gli arresti di
politici, vigili ed assessori per un caso di abusivismo edilizio, insomma…ma
che minchia voleva ‘sto professore. E lì tutto è cominciato.
Quest’insegnante dai capelli un po’ lunghi mi parla di una studentessa di 16
anni uccisa in un agguato ad un mafioso; di indagini forse mai fatte; di
ricerca della verità: mi racconta la storia di Anna Cambria. Di questa
ragazzina ammazzata nel Novembre del 1989 davanti ad un Bar di Milazzo solo
perché si trovava nel posto sbagliato nel momento sbagliato: il bersaglio
era un pregiudicato rimasto poi ucciso, Franco Alioto. Un proiettile
“vagante” ha ucciso sul colpo Anna. Nessuno era mai stato arrestato per
quell’omicidio.
La
famiglia cercava la verità, voleva giustizia. Il professore mi chiese di
aiutarla: quello era un reato di mafia e i familiari di Anna avevano diritto
ad accedere al fondo per le vittime di mafia.
E
allora incomincia la storia,anzi, finisce.
Finisce, perché è finita la speranza da parte dei genitori di avere
giustizia. Finisce, perché nonostante un lavoro tra mille ostacoli e tre
pentiti, nonostante una ricostruzione abbastanza precisa ed alibi carenti,
nonostante 2 processi (di cui uno annullato dalla Cassazione) si è tornati
ad assolvere per “insufficienza di prove”. Finisce, perché Anna è stata
dimenticata.
Ma io
mi rivedo a Milazzo davanti ad una scuola, rivedo una persona anziana,
dignitosa, con le mani da lavoratore. Rivedo quest’uomo prendere in braccio
una sua nipote, compagnetta di scuola di mia figlia: rivedo il nonno di Anna
che mi sorride quasi timidamente, ma rivedo anche i suoi occhi e la domanda
che mi ponevano, sempre la stessa: “Chi è stato?”